Ho ricevuto una valanga di proteste, sul blog e fuori. Alcune, veramente concitate. In questi messaggi, numerosi tifosi dell’Inter si sono dichiarati insoddisfatti al massimo della “festa” seguita ad Inter-Atalanta. “Perché, c’è stata la festa?” ho sentito ironicamente affermare. Questi sostenitori nerazzurri si sentono defraudati. Forse, addirittura prevaricati nel loro ruolo dal comportamento dei loro beniamini.
Nel post precedente avevo già fatto notare come i familiari dei giocatori avessero ignorato il lutto. Ma al di là del lutto, la stortura più assurda che riscontro è che la presenza in campo delle mogli e dei figli dei giocatori nerazzurri sta prendendo sempre più piede. Era accaduto lo scorso anno, si è ripetuto dopo Inter-Siena del maggio scorso e poi, nuovamente, dopo Inter-Atalanta. Che senso ha? La festa-Scudetto dev’essere fra giocatori e tifosi, o meglio, dev’essere fatta dai giocatori per i tifosi – e non dai giocatori per i propri familiari, neanche si trattasse di un’occasione privata di divertimento.
I sostenitori interisti erano venuti allo stadio per festeggiare il trofeo conquistato, per acclamare i loro campioni, per salutare chi partiva. Ebbene: la coppa non ha neppure fatto il giro del campo, alla pari di Figo, Crespo e Cruz. Per contro, sul campo sono sfilati , a mo’ di “trofei”, i marmocchi dei giocatori.
“Ma chi se ne frega di vedere le mogli e i bambini?” è stata la constatazione generale. Infatti! Che significato ha, per degli atleti, portarsi le famiglie sul terreno di gioco e sfilare davanti al pubblico con i bebé in braccio? L’arena è appannaggio dei gladiatori, dei campioni – non certo dei casalinghi che ho visto materializzarsi con orrore il 31 maggio dopo il fischio finale, ai quali, per aggiudicarsi il titolo di “perfetto paparino”, mancavano solo le pantofole e la vestaglia da camera, o se preferite, il grembiulone da cucina. Giustissimo che lo facciano a casa loro, ma per favore, ci risparmino questo show in pubblico: li trovo semplicemente ridicoli!
Di bravi paparini ne vediamo tutti i giorni. Allo stadio andiamo per vedere degli atleti e degli uomini. Dunque, completamente fuori luogo mi sembra anche la presenza delle signore sul campo. “Quelle vanno già a mangiare al Melià (un grande albergo di Milano, ndr)”, sbotta un altro tifoso. Come accaduto anche due settimane prima. Quando, ad essere sinceri, qualche pastasciutta in meno a certe consorti esibizioniste farebbe soltanto bene, se è vero che la loro forma fisica mi è parsa tutt’altro che all’altezza di quella dei mariti: sederi e fianchi che sembravano fare esplodere i pantaloni strettissimi, seni debordanti, linea e look da insufficienza piena. E poi non ditemi che sono cattiva. Vogliono comparire in pubblico? A quel punto, come tutti i personaggi pubblici, siano soggette alle critiche!
A chi diavolo può interessare vederle in campo? Mi sono chiesta. Agli uomini? Assolutamente no, stando a quanto mi dicono. Alle donne? Per quanto mi riguarda, per fortuna ho ben altri gusti… A chi interessa, allora? Evidentemente a loro stesse, alla loro ingordigia di apparire e di mettersi in mostra a tutti i costi. Qualcuna, ve ne sarete accorti, fra interviste TV, defilé di “moda”, eventi e quant’altro, si è fatta veramente prendere la mano… almeno per i miei gusti. Sono mamme? E allora? Di mamme è pieno zeppo il mondo! Cos’avrebbero loro di così speciale?
Le allegre mogliettine si danno da fare, scodinzolano, rincorrono i pargoli, se la tirano, fanno la foto di gruppo con la squadra e con i campioni preferiti. I giocatori che non hanno un figlio sottomano, per non essere da meno, prendono in prestito il bambino di qualche collega o amico. San Siro è trasformato in un chiassoso reparto di ginecologia e ostetricia.
A onor del vero, è doveroso precisare che ci sono state delle eccezioni. Non tutte le mogli sono intervenute o si sono comportate come ho descritto sopra. Purtroppo, a farlo è stata la stragrande maggioranza. Forse, addirittura, chi in questa occasione ha ritenuto giustamente di dover stare al proprio posto sarà arrivata a sentirsi in imbarazzo di fronte all’andazzo della confusione, del tutto concesso e del vuoto dei valori sportivi (e non solo) che mi sono parsi regnare. Un degrado in cui sono ormai pochissimi a usare il cervello.
Se fossi la moglie di un calciatore, ad esempio, starei bene attenta a tenere me stessa e i miei bambini lontano dalle telecamere. Nel mondo d’oggi, per motivi che anche il più sprovveduto conosce, il buon senso dovrebbe infatti suggerire a personaggi ricchi e famosi di non esibire la famiglia. Ma questa è gente fuori dal mondo.
Rimanendo in tema di considerazioni serie, qualcuno mi ha domandato se la tragedia della Saras, Società sì di Massimo Moratti ma esterna all’Inter, dovesse effettivamente comportare il lutto per la squadra di calcio. È un argomento troppo delicato per essere affrontato in questa sede. Rimaniamo dunque alla decisione del Presidente, che così si è sentito di fare. Ma allora: se la cerimonia doveva essere sobria e all’insegna della rinuncia, non vi sembra che il lutto l’abbiano offeso proprio coloro che della grande famiglia Inter fanno parte più da vicino?
La festa i giocatori se la sono fatta da soli con mogli, figli, nipoti e parenti a rimorchio. Una babilonia di cui, oltretutto, sugli spalti si è compreso poco o nulla. Molti, per capire, hanno dovuto tornare a casa e affidarsi alle immagini TV. Bella riuscita!
Dalla festa e dall’invasione di campo sono rimasti esclusi i tifosi. Quelli che per l’Inter avevano tifato tutto l’anno. Quelli venuti da lontano. Quelli che l’eventuale vittoria nella Supercoppa Italiana non potranno festeggiarla sul posto, poiché per interessi diversi dalla logica sportiva, la finale si disputerà a Pechino. Quelli che avevano acquistato il pacchetto di tagliandi per gli ultimi quattro incontri casalinghi in modo da assicurarsi la presenza alla festa: quella dell’Asilo Mariuccia.
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