CALCIO E PAROLE

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Archive for aprile 2008

Matrix è tornato al goal

Posted by ladycalcio su mercoledì, aprile 30, 2008

Milano, domenica 27 aprile, ore 17.00. Poco dopo il fischio finale di Inter-Cagliari, i tifosi nerazzurri festanti prendono d’assalto le bancarelle fuori dallo Stadio Meazza. A spopolare sono i gadget di Matrix: la maglia numero 23, i polsini e le sciarpe “Tutti pazzi per Materazzi”.
Marco Materazzi, ancora all’interno dello stadio, queste scene non le vede.

Ha appena messo a segno la sua prima rete stagionale: un goal a lungo atteso, a scacciare un lungo periodo di sofferenza. Un goal pesante, che ipoteca il 16° titolo dell’Inter, mandando in delirio San Siro. A fine partita, la Curva Nord lo congeda con un’ovazione, in una festosa cornice di fumogeni colorati. Potere di un’incornata magistrale stile Germania 2006: una rete da manuale che lo restituisce finalmente alla classifica marcatori e agli onori della cronaca.
Per lui, in questa stagione, non è stato sempre così.

È lo stesso Materazzi, nella sua autobiografia, a lamentarsi di non riuscire mai a godersi appieno i momenti agonistici più belli senza che qualcosa o qualcuno intervenga a guastarli.
Nell’attimo dello sfogo di tutta la sua gioia e la sua rabbia, complice forse il suo atteggiamento schivo nei confronti delle telecamere, ecco infatti la TV rubargli il labiale e strumentalizzarlo ai fini polemici.

Materazzi non è mai stato polemico. Neppure quando, al rientro dal suo brutto infortunio, veniva regolarmente relegato dal Mancio agli ultimissimi minuti di gara. Per come lo vedevo muoversi (e per quanto mostrato due settimane prima nei 70’ minuti di Sheffield), non ho mai avuto dubbi che, sin da allora, avrebbe potuto essere utilizzato molto più a lungo.

Quanto sia effimera la gloria lo ribadiva il doppio giallo di Liverpool, che solo l’esercito degli indottrinatori faziosi a caccia di polemiche poteva considerare meritato e spacciare per tale a titoli cubitali, al punto da far presa sugli stessi sostenitori nerazzurri. L’aspetto più doloroso: per troppi fra gli interisti soliti osannarlo, Materazzi passava, dalla sera alla mattina, da eroe rimpianto a capro espiatorio, da Campione del Mondo orgoglio dei colori nerazzurri a unico colpevole del disastro, da pedina irrinunciabile della difesa interista a 34enne sul viale del tramonto, lento al punto da dover stendere gli avversari per fermarli. E allora, prego, che si accomodasse in panchina e cedesse il posto a Burdisso, al più giovane e veloce Nelson Rivas, al ritorno degli infortunati Samuel e Cordoba… Potere della fogna mediatica e di un pezzo di plastica rosso sventolato nella notte di Liverpool.

Considerazioni ingrate e ingenerose di chi, accecato dalla rabbia e dalla delusione della Champions sfumata, di Materazzi dimenticava tutte le botte subite sul campo (dall’infortunio in Ungheria alla testata in Inter-Palermo), i pregevoli lanci lunghi di sinistro, i preziosi colpi di testa a liberare l’area, l’impegno profuso per ritrovare una condizione che Samuel e Cordoba, al momento dei rispettivi rientri, potranno soltanto augurarsi di possedere.

Il goal siglato domenica da Matrix reca in sé un auspicio positivo: la chiusura del capitolo doloroso iniziato con l’espulsione al 30’ del 1° tempo di Liverpool e l’apertura di un nuovo positivo capitolo con l’entrata in campo al medesimo minuto del 2° tempo contro il Cagliari: un ‘basta’ alle sofferenze, nell’abbraccio dei compagni e con le dita protese verso il Cielo.

Che il Cielo gliene conceda altri mille, di questi goal e di questi giorni.

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L’Inter incorna il Toro, Totti gufa se stesso

Posted by ladycalcio su mercoledì, aprile 23, 2008

L’inizio della settimana mediatica prospera sui due botti della domenica: l’ipoteca posta dall’Inter sullo Scudetto dopo la vittoria sul Torino, condita dalle polemiche sulla sostituzione di Balotelli, e l’infortunio di Francesco Totti.

“Mi hanno gufato”, ha detto il capitano giallorosso. All’indirizzo di chi, è facile immaginarlo. Se il suo dramma personale mi induce a passar sopra a questa affermazione, non altrettanto dicasi dell’enfasi mediatica suscitata dal guaio del Pupone in rapporto ad altri infortunati (vedi Samuel, Cordoba & Co).

Auguri di cuore al Capitano della Roma. Ma se come ho sempre ritenuto la grandezza di un atleta si vede nel momento della crisi, in questa occasione tanto grande Totti non mi è parso. Stride infatti il contrasto fra i recenti toni arroganti sull’Inter, l’ancor più arrogante triplo “vaffa” all’arbitro Rizzoli in Udinese-Roma e la successiva teoria del lamento. Per inciso, se a Udine fosse stato espulso e squalificato per turpiloquio come avrebbe meritato (e come toccato in precedenza a Vieira), ora sarebbe a sgambettare sul campo di Trigoria. Si è dunque gufato da sé con le note dichiarazioni sugli arbitri?

O piuttosto, l’infortunio occorsogli in seguito a un tiro senza alcun contrasto avversario fa pensare che sia fisicamente logoro e che il suo ginocchio avrebbe comunque ceduto alla prima occasione?

Come già sottolineai per il grave infortunio del 2006, mi spaventano i tempi di recupero serrati previsti per il Pupone, che allora bruciò le tappe per essere presente ai Mondiali di Germania, tornando in campo per 74′ in un’amichevole contro la Cisco Roma a soli 67 giorni dall’essersi ritrovato con la gamba in frantumi. Un’osservazione superficiale mi bastò per constatare come non “usasse” affatto il piede sinistro, che impattava piatto sul terreno per evidenti deficit di spinta. Totti dichiarò: “Sono riuscito a recuperare molto presto anche grazie a Dio, perché m’ha messo ‘na mano in testa e m’ha detto: ‘Oh, devi guarire per i Mondiali, perché è giusto così”.

Il mio timore è che con quel ritorno-lampo Totti si sia “gufato” da solo. In altre parole, che il suo fisico abbia pagato caro l'”exploit” di allora. Ma i medici sono ottimisti: dimesso dopo l’operazione al crociato anteriore del ginocchio destro, il capitano giallorosso dovrebbe tornare a correre fra 20 giorni. Che Dio l’assista.

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Il Manchester dei sostituti piega la Roma del rigoretto

Posted by ladycalcio su venerdì, aprile 11, 2008

Non tutti i giorni è domenica: la domenica italiana del rigoretto che ti mantiene in coda all’Inter, come accaduto sabato contro il Genoa, cullandoti nel sogno di una “Roma Capoccia”. Il “salvagente a ciambella”, per la verità, ai giallorossi annaspanti era stato gettato anche stavolta: per la precisione da Brown, protagonista di un contatto in area con Mancini. Ma come dice il proverbio, non tutte le ciambelle riescono col buco. A bucare il tiro dagli 11 metri ci ha pensato Daniele De Rossi, spedendo la sfera sopra la traversa.

Scoramento totale su Sky, dove cronisti e commentatori, protagonisti di un tifo sfegatato sin dal pre-partita, cercano di consolare forse i romanisti, forse se stessi: l’assenza di Totti, l’infortunio di Cassetti, la sfortuna di De Rossi. Solo Paolo Rossi fa presente che la Roma, in 180′, non è riuscita a segnare neanche un goal al Manchester United. Neppure su rigore. Peraltro, aggiungo, a un Manchester schieratosi senza Cristiano Ronaldo, Scholes e con Rooney solo nel finale, Ferdinand zoppo e Silvestre che non giocava una partita intera dallo scorso settembre.

Marcello Lippi, Paolo Rossi e Gianluca Vialli rovistano nella memoria alla disperata ricerca di grandi giocatori che abbiano sbagliato rigori decisivi; nella concitazione del momento, esce il solo nome di Maradona.

Nulla da eccepire sull’impegno dei giallorossi. Stride invece il paragone con la severità unanime dei mass media verso l‘Inter, eliminata dal Liverpool: troppo piccola per l’Europa, sterile nel gioco, colpevole di una ridda di occasioni sciupate, valutata solo in base al passivo complessivo di 3 reti subito in un doppio confronto disputato per metà in 10 contro 11. Apriti cielo se a fallire il rigore all‘Old Trafford fosse stato Ibrahimovic: non segna neppure dal dischetto, si sarebbe detto, non è un campione perché nel momento cruciale gli è mancata la freddezza, nelle partite chiave non fa la differenza.

Si insiste invece sul volto di De Rossi, segnato dall’errore. “Il goal era lì a 11 metri” dichiarerà quest’ultimo. E quando c’è l’impegno, i tifosi perdonano qualsiasi errore. Salvo che a commetterlo sia Materazzi. Certo è mancato il Pupone, che in occasione dell’incontro d’andata aveva fatto sapere di trovarsi davanti alla TV con i due pupetti in braccio. È mancato il portafortuna Rossella Sensi.

Secondo Lippi, che a inizio trasmissione aveva pronosticato un 5-6 per la Roma, l’eliminazione dalla “Champions” non influirà sul campionato. Mi permetto di dubitarne. È qui che la Roma deve fare appello a tutto il suo carattere, per non rischiare il crollo. Lippi, il più largo di manca del trio, si produce in lodi sperticate alla grande stagione dei capitolini e alla prestazione contro il ManU: “Hanno fatto tutto… meno il goal”, “non era stato messo in preventivo che De Rossi sbagliasse il calcio di rigore”, “è mancato un pizzico di fortuna”… “Lo sanno tutti che sei mio amico, Marcello!” scherza Spalletti in collegamento.

A fine trasmissione viene portata in studio una torta per Lippi su cui troneggia il n° 60, gli anni che il mister sta per compiere. Qualcuno, scherzando, lo legge al contrario: 06, come il prefisso telefonico di Roma. La festa alla Roma l’hanno rovinata – o se preferite l’hanno fatta – gli inglesi, che un sorteggio beffardo ha voluto sulla strada dei giallorossi nei delicati quarti di finale (e non in semifinale o nello scontro secco di Mosca, fasi che, si sostiene, sarebbero state loro più favorevoli). Quegli inglesi irriverenti che, con qualche sostituto di troppo, hanno osato infrangere i sogni di gloria di Roma caput mundi.

Li mortacci loro!

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Matteo Bagnaresi: un’altra morte annunciata

Posted by ladycalcio su martedì, aprile 1, 2008

È il 3° lutto in meno di 14 mesi, dopo quelli dell’agente Filippo Raciti e dell’ultrà laziale Gabriele Sandri.

A trovare la morte all’autogrill, nuovo teatro degli scontri fra tifoserie, è l’ultrà del Parma Matteo Bagnaresi, per una tragedia in 3 atti dal copione fisso. 1° atto: costernazione a 360 gradi per un’apparente fatalità che non trova spiegazioni, rinvio della partita Parma-Juve, testimonianze univoche che attribuiscono alla vittima una fama impeccabile di bravo ragazzo. 2° atto: si apprende che Bagnaresi aveva appena terminato di scontare 3 anni di diffida dall’accesso agli stadi; i testimoni oculari riferiscono di sfottò, scontri, spranghe e facinorosi incappucciati, le perizie evidenziano danni al pullman dei tifosi juventini.

3° atto: l’ondata emotiva, gli pseudoopinionisti nostrani e le vacillanti italiche istituzioni partoriscono le proposte più assurde, come quelle di vietare le soste agli autogrill (!) e tutte le trasferte organizzate.

Questo il copione fisso di una tragedia che si ripete ciclicamente, alla faccia delle rassicurazioni secondo cui i provvedimenti restrittivi introdotti dopo la scomparsa di Raciti e Sandri avrebbero apportato al calcio evidenti benefici in termini di sicurezza. In realtà, come appare evidente, altro non si è ottenuto che di spostare le violenze dagli stadi a fuori. In effetti, non di un problema specifico del calcio si tratta, anche se di calcio porta a morire.

Il discorso si allarga inevitabilmente al piano sociale e a fenomeni paralleli quali il bullismo nelle scuole e i rave party, prodotti finali di una lunga serie di storture aventi la stessa matrice. Deviazioni comportamentali dalle radici profonde, che attingono all’humus del crollo dei valori, del permissivismo e del garantismo e che, per parafrasare il linguaggio calcistico, fanno capo a due vertici: vertice basso la famiglia, con genitori ciechi, sordi e indifferenti alle attività e alle frequentazioni dei figli, vertice alto uno Stato alla deriva, sopraffatto da problemi inveterati ormai ingestibili, che si dibatte improvvisando provvedimenti di emergenza che penalizzano i cittadini onesti.

Reputandomi fra questi ultimi, sottolineo che lo Stato di un Paese dell’Europa – e non del terzo mondo – è tenuto a garantirmi sicurezza e incolumità dentro e fuori gli stadi. Come, non è un problema mio. Questa affermazione, come da decenni a questa parte, richiama la necessità di rifondare le Forze dell’Ordine, con relativi nuovi parametri di reclutamento, selezione, addestramento e retribuzione degli agenti. Discorsi sentiti alla nausea a fronte di una realtà squallida: Polizia e Carabinieri hanno abbandonato l’interno degli stadi, dove l’ordine è affidato agli steward, brutte copie delle maschere dei teatri. Ma anche dove rimangono, con tutto il rispetto per la buona volontà e lo spirito di sacrificio dei più, le Forze dell’Ordine non sempre si distinguono per brillantezza di idee e di intervento.

Ora, ad esempio, il Sindacato di Polizia sventola bandiera bianca e propone di vietare incondizionatamente le trasferte organizzate. Si profila una resa ingloriosa dello Stato, che “abbassando i pantaloni” toglierebbe ogni residua fiducia al cittadino e darebbe ancor più lustro al crimine. E poi non meravigliamoci se l’Uefa minaccia di revocare l’assegnazione della finale di Champions League 2009 a Roma.

Sfiducia nei nostri confronti più che motivata, alla luce di quanto osservato fuori dallo Stadio Meazza una mezz’ora prima dell’incontro di campionato Inter-Juve: un cordone umano di pochi poliziotti fungeva da scorta tardiva ai tifosi ospiti, indirizzati inspiegabilmente al cancello 8 in concomitanza con l’entrata della Stampa, improvvisando un varco nel grande afflusso della tifoseria locale. “E vi pagano pure!” sbottava seccato un distinto signore.

Quanto alla Polstrada, se è vero che non può controllare tutti gli autogrill, è altrettanto vero che le pattuglie impegnate a multare le vetture che percorrono le autostrade a fari spenti con sette soli potrebbero essere destinate a mansioni socialmente più utili. Alla pari di quei pubblici ufficiali che bulleggiano infliggendo 370 euro di multa agli organizzatori di manifestazioni locali che affiggono una locandina o una freccia direzionale fuori dai caselli autostradali sotto i segnali degli incroci stradali.

No, non sto parlando di “Carlotta e Peppino oggi sposi”, scritto su un lenzuolo appeso a un ponte dell’autostrada, ma di quelle segnalazioni “artigianali” che indicano il ritrovo della strapaesana, della corsa ciclistica amatoriale o della manifestazione di motocross, a beneficio di chi la domenica sceglie lo sport sano – magari devolvendo gli introiti in beneficenza. Quando è arduo stabilire se sia più ridicola la legge o l’accanimento nel farla applicare. E quando, comunque sia, il cittadino onesto ne esce schifato.

Tornando al calcio: il primo parto d’ingegno dell’Osservatorio Nazionale dopo la morte di Bagnaresi è stato invalidare i tagliandi per Atalanta-Inter già venduti fuori dalla Provincia di Bergamo. I posti della tifoseria ospite verranno riempiti da bambini, anziani eallegre famigliole del luogo, con tanti saluti ai diritti dei sostenitori lontani.

Ripenso all’istante a due ragazzi austriaci simpatizzanti nerazzurri conosciuti casualmente al Meazza, sempre in occasione di Inter-Juve, venuti espressamente da Vienna per assistere a una partita a rischio 4, per la quale i famigerati tagliandi avrebbero dovuto essere venduti ai soli residenti nella Provincia di Milano. “Dove vi siete procurati i biglietti?” avevo domandato loro. “Da un bagarino qui fuori dallo stadio”, mi avevano risposto, “come facciamo sempre”.

Ricordate quel vecchio slogan da stadio? “SIETE RIDICOLI”!

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