Milano, domenica 27 aprile, ore 17.00. Poco dopo il fischio finale di Inter-Cagliari, i tifosi nerazzurri festanti prendono d’assalto le bancarelle fuori dallo Stadio Meazza. A spopolare sono i gadget di Matrix: la maglia numero 23, i polsini e le sciarpe “Tutti pazzi per Materazzi”.
Marco Materazzi, ancora all’interno dello stadio, queste scene non le vede.
Ha appena messo a segno la sua prima rete stagionale: un goal a lungo atteso, a scacciare un lungo periodo di sofferenza. Un goal pesante, che ipoteca il 16° titolo dell’Inter, mandando in delirio San Siro. A fine partita, la Curva Nord lo congeda con un’ovazione, in una festosa cornice di fumogeni colorati. Potere di un’incornata magistrale stile Germania 2006: una rete da manuale che lo restituisce finalmente alla classifica marcatori e agli onori della cronaca.
Per lui, in questa stagione, non è stato sempre così.
È lo stesso Materazzi, nella sua autobiografia, a lamentarsi di non riuscire mai a godersi appieno i momenti agonistici più belli senza che qualcosa o qualcuno intervenga a guastarli.
Nell’attimo dello sfogo di tutta la sua gioia e la sua rabbia, complice forse il suo atteggiamento schivo nei confronti delle telecamere, ecco infatti la TV rubargli il labiale e strumentalizzarlo ai fini polemici.
Materazzi non è mai stato polemico. Neppure quando, al rientro dal suo brutto infortunio, veniva regolarmente relegato dal Mancio agli ultimissimi minuti di gara. Per come lo vedevo muoversi (e per quanto mostrato due settimane prima nei 70’ minuti di Sheffield), non ho mai avuto dubbi che, sin da allora, avrebbe potuto essere utilizzato molto più a lungo.
Quanto sia effimera la gloria lo ribadiva il doppio giallo di Liverpool, che solo l’esercito degli indottrinatori faziosi a caccia di polemiche poteva considerare meritato e spacciare per tale a titoli cubitali, al punto da far presa sugli stessi sostenitori nerazzurri. L’aspetto più doloroso: per troppi fra gli interisti soliti osannarlo, Materazzi passava, dalla sera alla mattina, da eroe rimpianto a capro espiatorio, da Campione del Mondo orgoglio dei colori nerazzurri a unico colpevole del disastro, da pedina irrinunciabile della difesa interista a 34enne sul viale del tramonto, lento al punto da dover stendere gli avversari per fermarli. E allora, prego, che si accomodasse in panchina e cedesse il posto a Burdisso, al più giovane e veloce Nelson Rivas, al ritorno degli infortunati Samuel e Cordoba… Potere della fogna mediatica e di un pezzo di plastica rosso sventolato nella notte di Liverpool.
Considerazioni ingrate e ingenerose di chi, accecato dalla rabbia e dalla delusione della Champions sfumata, di Materazzi dimenticava tutte le botte subite sul campo (dall’infortunio in Ungheria alla testata in Inter-Palermo), i pregevoli lanci lunghi di sinistro, i preziosi colpi di testa a liberare l’area, l’impegno profuso per ritrovare una condizione che Samuel e Cordoba, al momento dei rispettivi rientri, potranno soltanto augurarsi di possedere.
Il goal siglato domenica da Matrix reca in sé un auspicio positivo: la chiusura del capitolo doloroso iniziato con l’espulsione al 30’ del 1° tempo di Liverpool e l’apertura di un nuovo positivo capitolo con l’entrata in campo al medesimo minuto del 2° tempo contro il Cagliari: un ‘basta’ alle sofferenze, nell’abbraccio dei compagni e con le dita protese verso il Cielo.
Che il Cielo gliene conceda altri mille, di questi goal e di questi giorni.